Il covo di via Gradoli

Un importante esempio di depistaggio ha a che fare proprio con la toponomastica Capitolina. Si tratta del caso del covo di Via Gradoli 96, in zona Cassia, a poca distanza dalla Tomba di Nerone.

È utile fare una specifica cronologia riguardo a questo covo, la cui scoperta e gestione investigativa rappresenta a tutt'oggi uno dei misteri più nascosti del caso Moro:

  • 18 Marzo: gli inquirenti ricevono una segnalazione da parte di una donna che vive nel condominio di Via Gradoli 96, riferendo di sentire rumori sospetti in diverse ore del giorno e della notte. Le forze di Polizia decidono di verificare questa segnalazione. Bussano alla porta dell'appartamento e, non ricevendo risposta se ne vanno senza ulteriori approfondimenti.
  • 2 Aprile: A Bologna tre Professori dell Università degli studi, e più precisamente Romano Prodi, Mario Baldassarri ed Alberto Clò, a scopo di divertimento fanno una “seduta spiritica” dalla quale emerge il nome Gradoli. Il Professor Prodi ritiene di riferire questo nome alle autorità inquirenti, le quali, senza neppure guardare uno stradario di Roma per verificare se esista in città una Via Gradoli, preferiscono rivolgere uomini ed energie al rastrellamento del paese di Gradoli, in Provincia di Viterbo nei pressi del lago di Bolsena.
  • 18 Aprile: viene recuperato un comunicato delle Brigate Rosse, il numero 7, in cui è scritto che Aldo Moro “è morto mediante suicidio presso il Lago della Duchessa”. Il documento è un palese falso, fabbricato da tale Antonio Chicchiarelli, esponente di spicco della criminalità Romana. Il medesimo giorno i Vigili del Fuoco irrompono nell'appartamento di Via Gradoli 96, precedentemente trascurato dalle Forze dell'Ordine, a causa di una perdita di acqua che si rivelerà essere causata da un rubinetto della doccia "misteriosamente" lasciato aperto, appoggiato su una scopa e con la cornetta rivolta verso un muro, quasi a voler far scoprire il covo. Il covo contiene armi, targhe, documenti riconducibili alle Brigate Rosse. L'appartamento è intestato a tal “Ing. Mario Borghi” che si dimostrerà poi essere Mario Moretti, capo delle BR, nonché carceriere ed inquisitore di Moro. La notizia viene immediatamente resa pubblica, bruciando la possibilità di incastrare qualche terrorista, soprattutto il Moretti che frequentava abitualmente il covo durante il sequestro.

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